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Continua a guardare la ferita

Continua a guardare la ferita - Mindfulness Sardegna

Durante le consulenze psicologiche sono possibili molti incontri diretti con la parte più dura della nostra vita. Sono momenti in cui possiamo incontrare noi stessi profondamente, grazie al tramite della relazione terapeutica.

Tutti noi abbiamo incontrato dei periodi di grande dolore nella nostra vita, forse nella nostra lontana infanzia. Come li abbiamo vissuti? Come siamo emersi da quei momenti?

Ci siamo affidati ai nostri tentativi di proteggerci dalla sofferenza. Come persone con maggiori o minore maturità, abbiamo seguito quell’istinto di autoconservazione che ci ha portato a cercare un rimedio immediato alle sue espressioni. Vale la pena leggere alcuni di questi sentimenti chiave:

… vergogna, senso di colpa, tristezza, depressione, ira, odio, violenza, tradimento …

Tutti questi sentimenti sono possibile nel cuore umano, e provocano una profonda pena. Chi di noi si augurerebbe di viverli? C’è infatti nel nostro profondo un desiderio di essere felici, che va molto oltre l’appagamento dei sensi. È una spinta esistenziale, una chiave di volta per raccogliere la nostra vita e portarla verso le sue vette.

La vetta della compassione

Questa cima della vita di cui parlo è la compassione. La compassione è uno stato della coscienza che accoglie il dolore e lo trasforma in comprensione affettuosa.

Con la mindfulness apprendiamo a raccoglierci anche nella nostra fragilità. Tutti noi abbiamo un potenziale di amore per noi stessi che possiamo attivare per guarirci. Questo amore è essenziale nella nostra crescita, perché ci permette di crescere attraverso una trasformazione della nostra sofferenza.

Ascoltandoci, iniziano a mostrarsi delle crepe, forse attraverso il dialogo compulsivo dei nostri pensieri, o i silenzi bloccati, o i respiri tesi. Queste crepe sono occasioni affinché una voce profonda del cuore emerga a dirci “non dimenticarti di me!”. Così emergono le nostre ferite interiori.

Ho trovato nel bel testo Guarisci te stesso, queste parole di un mistico persiano:

“Affida la tua ferita nelle mani di uno Sheikh.
Le mosche si raccolgono su una ferita,
la coprono,
quelle mosche dei tuoi sentimenti di autoprotezione,
il tuo amore per ciò che pensi sia tuo.

Lascia che un Maestro scacci via le mosche
e metta un cerotto sulla ferita.
Non girare la testa.
Continua a guardare la ferita.
È da lì che la Luce entra in te.

E non credere per nemmeno un momento
di aver guarito te stesso.”

Rumi

Cosa ti hanno colpito di queste parole? Prova a rileggerle con pazienza.

Guardare la ferita

Volgersi verso la ferita è un modo per riportarci l’attenzione. Ascoltando a fondo la nostra ferita, emergono i nostri tentativi di proteggerci. Forse ci stiamo distraendo, stiamo cercando di non sentire alcun sentimento, oppure ci stiamo rassicurando con parole positive. Quale è il tuo modo?

Il nostro tentativo è di sciogliere questi disturbi, quei tentativi automatici e compulsivi di non amarci, e prenderci cura della ferita che vi sta nascosta.

Una ferita non guarirà mai se coperta dalle mosche. I nostri tentativi di proteggerci sono tentativi dettati dalla nostra reattività automatica, che non raccolgono il potere molto più ampio della compassione.

Così possiamo vedere la nostra ferita. Farà male certamente, eppure possiamo metterci un cerotto. Questi strumenti più potenti sono l’empatia, l’ascolto attento, la compassione verso noi stessi, la scelta di star bene, le nuove azioni che scegliamo di intraprendere, e nascono dalla creatività dell’incontro profondo.

La luce entra in te

Quando guariamo, la nostra sofferenza si rivela come “luce”. La luce è un simbolo per la nostra ritrovata naturalezza. Questa naturalezza apre alla nostra capacità di autoguarirci, come se riaprisse una possibilità già presente. Così è bene ricordarci che la sofferenza è una porta aperta verso la vita, non è un problema.

Voglio ripeterlo: la sofferenza è una porta aperta verso la vita, non è un problema. Il problema è la nostra difficoltà ad affrontarla e a comprenderla profondamente.

La sofferenza è un fatto della vita. Aprendoci ad essa, ci relazioniamo in modo sano con noi stessi. Mentre guariamo, altro amore viene rivolto verso la sofferenza, in un crescendo della nostra evoluzione che non annulla la nostra possibilità di incontrare il dolore, anzi lo aumenta, e ci rende in grado di sviluppare quella abilità del cuore che chiamiamo saggezza, discernimento.

Una persona saggia è in grado di affrontare la sofferenza a cuore aperto, senza venirne travolta. Se non siamo più travolti dalla sofferenza, possiamo apprezzare la vita con enorme arricchimento. Continuiamo a guardare la ferita.

Pratica suggerita: body scan psicosomatico del cuore.

Gianluca Ostuni
Gianluca Ostuni
Psicologo, Insegnante MBSR qualificato presso il Center for Mindfulness UMass (fondato da Jon Kabat-Zinn), Insegnante di Mindfulness Psicosomatica.

1 Comment

  1. Monica Menarini ha detto:

    Grazie molto interessante

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