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Riprendersi il potere della cura di sé

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L’intuizione che Jon Kabat-Zinn, figura di riferimento nella mindfulness, ebbe alla fine degli anni ’70 fu che poteva utilizzare la Mindfulness come un modo per sostenere le persone nel prendersi cura di sé, a prescindere dalla loro situazione fisica o emotiva; quando iniziamo a praticare la mindfulness ci rendiamo conto, gradualmente, che tutto parte da questo presupposto: noi stessi possiamo prenderci cura di noi stessi.

Delegare o attivare

Fermiamoci un attimo. Forse crediamo di far parte della società più benestante del globo. Forse crediamo che la medicina o altre discipline possano guarire la gran parte delle malattie che incontriamo. Focalizziamoci su un punto: tutto questo avviene fuori di noi. Queste cure vengono da fuori di noi, da medici, medicinali, professionisti, pratiche terapeutiche. Stiamo affidando il potere di curarci a qualcun altro.

Anche se facciamo parte di una società ricca e tecnologicamente avanzata, molti di noi soffrono per la mancanza di una vera cura di sé. Quest’ultima può nascere soltanto dall’unica persona che vive la nostra vita: noi stessi. Ma per fare questo passaggio è necessario riconoscere che tutti noi, proprio tutti, anche te che stai leggendo, abbiamo la possibilità di prenderci cura di noi stessi, attivamente, già da ora. Possiamo sostenere questa possibilità di auto-guarigione a partire dal nostro intento, l’intento di guarire noi stessi.

Quando parlo dell’intento, spesso lo raffiguro come una mano che si muove, dove questa mano è una possibilità della nostra mente. L’intenzione è infatti la spinta della mente che genera un pensiero o un azione nel momento presente, proprio come una mano che si può muovere per chiudersi a pugno, per accarezzare, per aprirsi, per indicare. Quindi, tutti noi possiamo generare la spinta a prenderci cura di sé autonomamente, con più o meno energia. Solo noi stessi, da noi stessi, possiamo generare questo movimento.

Gli ingredienti della propria auto-guarigione

Come forse stiamo già annusando nell’aria questo implica che noi stessi ci muoviamo dalle nostre abitudini a delegare il potere fuori di noi e ce lo riprendiamo in ogni momento, intenzionalmente. Richiede un considerevole sforzo all’inizio, perché le abitudini sono come zavorre che ci impantanano nella nostra palude. Ma è possibile uscirne. Ogni volta che pratichiamo una attiva intenzione di cura, per esempio essendo consapevoli del nostro corpo, stiamo togliendo concretamente i pesi che ci tirano a terra.

Con la Mindfulness apprendiamo ad applicare questa sana spinta verso la nostra salute portando intenzionalmente attenzione alla nostra esperienza nel momento presente, accogliendo ogni esperienza che arriva, piacevole e non piacevole, in modo non giudicante. Come sostengono migliaia di ricerche scientifiche, questa applicazione della nostra attenzione produce, per diversi motivi, molti benefici. Intenzione, attenzione e atteggiamento sono gli ingredienti di base della potente possibilità curativa della mindfulness.

Questa guarigione non è quella di cui è capace la medicina, la psicoterapia, che cambia le cose per aggiustare. Riguarda la fine abilità di riconoscere ciò che stiamo vivendo, accoglierlo eppure non esserne esauriti o definiti, vivendo al tempo stesso la completezza, integrità, unità che non ci abbandona mai, che possiamo tornare a vedere con gli occhi della consapevolezza. Fa parte della cosiddetta medicina partecipativa.

Praticare la compassione

Praticando incontriamo spesso molte resistenze ad ascoltare i nostri lati sofferenti. Ci sono momenti in cui la nostra tendenza all’evitamento prende il sopravvento, nel tentativo di evitare il dolore, come se, non guardandolo, smettesse di esistere. È come aspettarsi che non medicare una ferita la faccia guarire più in fretta, un’illusione della mente che possiamo notare, per sviluppare un atteggiamento più realistico e calorosamente aperto.

La capacità di prendersi cura di sé viene descritta dalla parola compassione. Con questa parola si intende la capacità di rimanere col cuore aperto davanti alla sofferenza, propria e altrui. È la capacità di sentire e di rispondere in una direzione di connessione, anziché reagire in una direzione di disparità. La compassione abbraccia e accoglie tanto la nostra sofferenza quanto quella degli altri. Di fatto, non c’è nessuna differenza tra la compassione per sé e quella per gli altri.

Essa può essere allenata e utilizzata quando utile, non solo come a una capacità che si rivolge all’esterno, per esempio quando vediamo una persona in difficoltà, ma soprattutto iniziare ad rivolgerla a noi stessi, cominciando così a riconoscerci la dignità e permetterci la cura che offriremmo ad una persona a noi cara.

Questa poesia di Mary Oliver mi colpisce molto, facendo vibrare in me questo potente intento.

Il viaggio

Un giorno, finalmente, hai capito
quel che dovevi fare, e hai cominciato,
anche se le voci intorno a te
continuavano a gridare
i loro cattivi consigli-
anche se la casa intera
si era messa a tremare
e sentissi le vecchie catene
tirarti le caviglie.
“Sistema la mia vita!”,
gridava ogni voce.
Ma non ti fermasti.
Sapevi quel che andava fatto,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
giù fino alle fondamenta, anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già piuttosto tardi,
una notte tempestosa,
la strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma poco a poco,
mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le stelle si sono messe a brillare
attraverso gli strati di nubi
e poi c’era una nuova voce
che pian piano
hai riconosciuto come la tua,
che ti teneva compagnia
mentre procedevi a grandi passi,
sempre più nel mondo,
determinata a fare
l’unica cosa che potevi fare –
determinata a salvare
l’unica vita che potevi salvare.

 

 

 

Gianluca Ostuni
Gianluca Ostuni
Psicologo, Insegnante MBSR qualificato presso il Center for Mindfulness UMass (fondato da Jon Kabat-Zinn), Insegnante di Mindfulness Psicosomatica.

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